mercoledì 31 luglio 2019

Africa futura

Osservo una odierna fase di emigrazione/immigrazione che, nei prossimi 100/150 anni, si porrà come graduale “viceversa”.
In sintesi: l’Europa diverrà territorio degli odierni migranti extracomunitari (genericamente, africani-subsarahaiani) e  l’Africa territorio dei futuri migranti europei.
Non potrà essere diversamente. Tenendo conto dei fattori climatici e geotermici, demografici, economici. Non disgiunti ai livelli culturali e preparazioni tecniche/scientifiche delle popolazione migratorie. Quelle odierne e quelle future.
La percezione discende da fattori causali e determinanti che possono essere individuati in:
a) aumento della temperatura del pianeta con conseguente innalzamento del mare -previsto in 85-110 metri-  con retrocessione delle coste; quindi,  con perdita di territori abitati e abitabili – specie di centri urbani ad alta densità abitativa-, oltre, soprattutto, depauperamento storico/ambientale (con “più nessuna storia dietro le spalle”)  e, quindi,  perdita/abbandono della identità di stirpe territoriale
b) progressivo decremento demografico delle popolazioni europee ;con collaterali liberazioni di spazi residenziali;  quindi,  con stanzialità progressivamente crescenti, da parte degli odierni migranti extracomunitari
c) determinazione -da parte degli esistenti poteri europei di influenza e gestione delle risorse-  a  mantenere i domini nell’utilizzazione di esse ai fini di una tecnologia sempre più avanzata, nelle sperimentazioni e nelle applicazioni -in specie, in sede industriale e sanitaria-
d) oggettiva valutazione delle sussistenti differenze -su erudizione, su speculazione teorica, su ricerca scientifica ed applicazione tecnologica- tra le popolazioni europee e le popolazioni africane (realisticamente, non compiutamente sanabili in 2 o 3 generazioni) unitamente a comparti sociali marginalizzati; così che la “nuova Europa” esprimerebbe il confino -come manovalanza soggiogata all’esclusivismo tecnologico- di masse etnicamente eterogenee.






un dio in camicia

Un angelo storpio cadde dal cielo: fu un poeta.
Si è sempre ritenuto che la divinità discendesse dall’alto (un alto dell’universo che, poi, è anche un basso o un laterale).Tra concupiscenze o ombreggiate fluttuazioni. Tra incarnazioni o angoscianti naturalismi.
Il dio trasfuso negli atti. Nelle intemperanze. Negli isolamenti. Nelle maledicenti insorgenze del dolore. Nella agognata partecipazione alla infinita eternità dell’essere.
E cosa sarebbe un dio inerte alle fantasmagoria delle attese o delle pretese? Un dio oltre l’altrove. Un dio senza drappi di onniscienza. Un dio in libero arbitrio.
Un agitatore di favole. Un dio in camicia.





venerdì 26 luglio 2019

2019 adc - 1.000.000 adc: le leggi immanenti


“Sono un amante fanatico della libertà, la considero l’unica condizione nella quale l’intelligenza, la dignità e la felicità umana possono svilupparsi e crescere. Non la libertà concepita in modo puramente formale, limitata e regolata dallo Stato, un eterno inganno che in realtà non rappresenta altro che il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù degli altri... No, io mi riferisco all’unico tipo di libertà che merita questo nome... la libertà che non conosce le restrizioni se non quelle che vengono determinate dalle leggi della nostra personale natura, che non possono essere considerate vere restrizioni, perché non si tratta di leggi imposte da un legislatore esterno, pari o superiore a noi, ma di leggi immanenti ed inerenti noi stessi, costituenti la base del nostro essere materiale, intellettuale e morale: esse non ci limitano, sono le condizioni reali e naturali della nostra libertà.”
(M. Bakunin, La Comune di Parigi e la nozione dello Stato)

praefatio


Il terrore della morte vi fa comprensivi o, viceversa, crudeli. In fondo siete solamente degli ipocriti. Che disegnano filastrocche sugli orli ondulati di tazze da the.
Io, qui, devasterò la sazietà delle vostre abiezioni. In cui vi avvolgete per protezione. Non sapendo. Non valutando. Non ipotizzando null’altro se non ciò che vi conviene essere. Il gusto. Il piacere della –come dire?- integrità.
Io dirò. Perché voglio. Perché pretendo. Che entri, sino al midollo delle vostre ossa, la disperazione dell’annullamento di ogni senso.
L’isolamento. Dello scherno. Del disprezzo. Dell’invidia che si fa accusa. L’oscura debolezza che fa vacillare: la minaccia.
La fantasia dell’osceno che vi macera la nascondete tra gli applausi. Verso redenzioni promesse. La uniformità di gesti. Il disprezzo per i deboli. La proliferazione di violenza. La scienza salvatrice. La ingordigia del cibo. La marcescenza della sensorialità.
Dediti ad essere compressi in ogni forma di dominazione. E dominare. Usati –e per un proprio utile ignavo che si chiama condivisione e che io chiamo condiscendenza attiva- a deformare tutte le possibilità di conoscenza. Indirizzandole verso dogmatiche soluzioni della vita. Tra gli eroi agitatori delle guerre. Dei campi di sterminio. Nelle adunate di piazza.
La protervia che espongo è nella salvezza della dimenticanza. Curata nel tempo e santificata nella deficienza della chimica dei legacci. Degli schemi. Delle erudizioni. Della fede in paradigmi.
Potreste chiamarmi: profeta?
Io sono un profeta? Sì! Sono un profeta .Un operatore alla macchina filmica dell’esistente. Che non è.
Leggetemi! Dubitate! Tremate!