Il terrore della
morte vi fa comprensivi o, viceversa, crudeli. In fondo siete solamente degli
ipocriti. Che disegnano filastrocche sugli orli ondulati di tazze da the.
Io, qui, devasterò la sazietà delle
vostre abiezioni. In cui vi avvolgete per protezione. Non sapendo. Non
valutando. Non ipotizzando null’altro se non ciò che vi conviene essere. Il
gusto. Il piacere della –come dire?- integrità.
Io dirò. Perché voglio. Perché pretendo.
Che entri, sino al midollo delle vostre ossa, la disperazione dell’annullamento
di ogni senso.
L’isolamento. Dello scherno. Del
disprezzo. Dell’invidia che si fa accusa. L’oscura debolezza che fa vacillare:
la minaccia.
La fantasia dell’osceno che vi macera la
nascondete tra gli applausi. Verso redenzioni promesse. La uniformità di gesti.
Il disprezzo per i deboli. La proliferazione di violenza. La scienza salvatrice.
La ingordigia del cibo. La marcescenza della sensorialità.
Dediti ad essere compressi in ogni forma
di dominazione. E dominare. Usati –e per un proprio utile ignavo che si chiama
condivisione e che io chiamo condiscendenza attiva- a deformare tutte le
possibilità di conoscenza. Indirizzandole verso dogmatiche soluzioni della
vita. Tra gli eroi agitatori delle guerre. Dei campi di sterminio. Nelle adunate
di piazza.
La protervia che espongo è nella
salvezza della dimenticanza. Curata nel tempo e santificata nella deficienza
della chimica dei legacci. Degli schemi. Delle erudizioni. Della fede in
paradigmi.
Potreste chiamarmi: profeta?
Io sono un profeta? Sì! Sono un profeta .Un operatore alla macchina filmica
dell’esistente. Che non è.
Leggetemi! Dubitate! Tremate!
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